Di Fausto Corsetti
Quando ai bordi delle strade cominciano a rincorrersi, vivaci e disordinate, foglie
dalle forme più diverse e dalle tinte calde di cui si rivestono solitamente i tramonti,
a tutti è chiaro che si fa prossimo il momento dell’ultimo raccolto, degli ultimi colori
prima che venga il tempo della spoliazione, dell’attesa, del gelo.
I giorni si abbreviano e gradualmente si raffreddano, lasciando traccia di tale
mutamento in umide nebbie che, a sera, avvolgono in un silenzio tipico, che ovatta
e nasconde, cose e persone.
Ognuno di noi ha una stagione che ama. Io preferisco l’autunno, con i suoi colori
tenui e iridescenti, delicati e pacati come il clima che lo avvolge. Amo i suoi silenzi.
Amo il silenzio che rigenera, che consente a ognuno di noi di respirare e ritrovarsi.
A chi corre per le tante cose da fare, esso insegna che può anche fermarsi,
almeno per un po’: il mondo va avanti lo stesso. Il silenzio va accolto senza il
timore che sia soltanto un vuoto. Allora scopriamo che è lui ad accoglierci.
Se il cuore si fida, proveremo un senso di liberazione. Nel silenzio accade
l’incontro con la libertà di poter ascoltare, pensare, essere, agire altrimenti. In
questo dolce spazio si è attratti ad ascoltare il respiro che ci abita, a sentire
l’anima, a vedere l’essenziale, spesso sepolto dagli adattamenti forzati al peggio
della vita.
Perché ciò avvenga non basta tacere o raccogliersi in un luogo tranquillo. Il
silenzio va desiderato e imprevisto accade. Quando ci raggiunge, l’impulso più
lucido è quello di affidarsi, aprendoci a incontri essenziali. Nella sua ospitalità si
offrono infatti forme di comunione da custodire.
E’ il caso della relazione con le persone amate scomparse. Esse non sono
cancellate, come se non fossero mai esistite. Il loro silenzio ci accompagna e il
dialogo persiste, purché il nostro cuore non sia completamente serrato per
eccesso di difesa dal dolore: gli scomparsi ci chiedono, più del ricordo della vita
trascorsa, la memoria del presente, la comunione indistruttibile nel bene.
Nella quiete a ciascuno è dato di confrontarsi con la propria strada, sentendosi
chiamato a una vita vera. Accettare questa ospitalità non comporta di chiudersi in
se stesso, nella propria interiorità. L’autentico incontro con il silenzio non ci
sequestra nell’isolamento, anzi ci rimanda verso gli altri con la piena coscienza
della nostra responsabilità.
Il silenzio ci fa nudi. Nudi ed esposti, senza protezione. Ma in questa nudità
assoluta, in questo affidamento totale alle energie dell’universo, scopriamo il
nostro vero “nome”, il nome che collega la nostra finitezza all’Infinito.
Il silenzio è un dono che facciamo a noi stessi, ci aiuta innanzitutto a liberarci dalla
smania di riempire tutto, ci permette di stabilire una pausa, ci aiuta a recuperare e
sottolineare ciò che davvero conta.
E’ necessario costruire la nostra scialuppa di salvataggio per affrontare il diluvio di
parole. Il primo effetto è su di sé, la prima tappa nella navigazione è rivolta alla
sorgente, alla nostra identità. Nel silenzio siamo capaci di riconoscere alla
perfezione chi siamo, osserviamo le nostre ombre e le nostre luci, le nostre cattive
qualità e i nostri pregi: dallo stesso animo sereno nasce la sincera gratitudine di
contemplare, respirare, accogliere la splendida Natura d’autunno.