Di Fausto Corsetti
Sospeso, leggero, sicuro, discreto, silenzioso, efficace.
Pochi aggettivi dei tanti che potrebbero ancora raccogliersi per descrivere il volo di
un nibbio.
Non è facile riconoscere il suo percorso; non è cosa scontata ricordare la sua scia nel
cielo. Si muove, si sposta, fende l’aria e sorveglia, come sentinella attenta, ogni
minuscolo particolare e poi, con sicurezza e ferma determinazione, si scaglia
sull’obiettivo.
Talvolta è possibile sorprenderlo in alto, fermo, quasi immobile, sostenuto proprio da
quello spirare di vento che sembra contrastarlo e respingerlo.
Nell’aria alta fremono le sue ali, quasi in stallo; poi all’improvviso vira, velocemente
si sposta, cala, dirige nuovamente verso l’alto; inghiottito dall’azzurro, scompare
repentino, sicuro, deciso, come solo sa fare proprio quel vento che esso riesce a
penetrare, trafiggere, oltrepassare, abitare.
Il cielo specchiandosi negli occhi mi entra nella mente, come foglie d’autunno si
sollevano i pensieri, e scopro in quel sentiero alto, in quel volo sinuoso, affascinante,
misterioso ciò che ogni uomo vorrebbe per sé: penetrare la vita, conoscerla fino in
fondo, assaporarla, gustarla nella sua generosità e affrontarla nella sua asprezza e
concretezza quotidiana, fino a provare, alla fine, nostalgia e attaccamento.
Sosto e scruto oltre, nel campo: mani ruvide segnate dal tempo e dalle fatiche,
raccolgono con emozione e delicatezza i preziosi frutti preparati con il tempo e nel
silenzio: quei piccoli semi, nascosti mesi addietro, hanno dimorato tra le pieghe
generose della terra, madre per tutti, madre per sempre.
Quei frutti profumano di attesa, di sofferenza, di incertezza, di fedeltà inevidente.
Profumano anche di verità e di libertà, ovvero della capacità di arrivare a
destinazione proprio attraverso la misura delle stagioni, impregnate di asprezza e
resistenza che preparano, lentamente, lo spessore duraturo dell’approdo.
Si assomigliano molto i volti di coloro che sanno ancora sognare e preparare, giorno
dopo giorno, una vita nutrita di cose vere e segrete. Così come si somigliano tra loro i
volti degli uomini che sanno immergere le proprie mani nella madre terra, per
nascondervi dentro sementi da tempo fedelmente custodite, stagione dopo stagione.
In quei volti non c’è fretta, ma attesa attiva, calma vivace, riconoscenza operosa.
Mi avvolge il soffio del vento: non è ostacolo la sua forza, ma dono impetuoso alle ali
e ai pensieri della possibilità di restare sospesi, sostenuti da quell’azzurro alto, là
dove diventa possibile penetrare il riconoscimento, l’orientamento, la scelta.
Siamo spesso abituati a pensare al vento sfavorevole come ad un’avversità da
combattere, come ad una sventura: nel volo, al contrario, esso diventa un’ottima
occasione per andare oltre. L’avversità diventa un’opportunità da sfruttare più che
una maledizione da sopportare.
Nello scorrere delle nostre stagioni non sono certamente assenti periodi faticosi e
duri, in cui le cose non sembrano “veleggiare” per il meglio, in cui sembra che il
vento della vita ci sia decisamente contrario. In questi momenti o ci mettiamo a
lottare contro queste difficoltà, spesso accumulando rabbie, rancori e risentimenti, o
le trasformiamo in occasioni di pausa e di crescita, in cui fermarci per riflettere, per
riprendere le redini della nostra vita e tornare a ciò che è essenziale.
Come sentiero alto nel cielo è il cammino da percorrere alla scoperta di inedite tracce
di esistenza che introducono al vero.
Una porta spalancata attende d’essere oltrepassata. Un sentiero inedito, continuo,
imprevisto attende di essere percorso da passi curiosi, da sguardi itineranti, da mani
pronte a gettare sementi feconde di vita nuova.
Considero cielo e terra: ogni riferimento alla vita, all’importanza del viverla, al come
viverla al meglio, profuma di sofferenza, di esperienza, di incertezza.
Non conosciamo mai noi stessi pienamente, profondamente; dopo tutta una vita di
ricerca, spesso ci sentiamo, restiamo stranieri a noi stessi. C’è qualcosa di noi stessi
che ci sfugge: possiamo ostinatamente cercare, avvertiamo il bisogno costante di
doverlo fare, protesi ad afferrare quanto di più profondo e vero dimora dentro
ciascuno di noi. Ebbene, proprio noi siamo chiamati a intraprendere un cammino per
essere sempre più uomini, un cammino di umanizzazione. Il cammino della vita
interiore lo percorriamo per umanizzarci, nutriti e trafitti da scomodi incessanti
interrogativi: chi sono? Da dove vengo? Dove vado? Chi sono gli altri per me? Come
sono caduto in questo mondo? E quando me ne vado, dove vado?
Sono domande che ci abitano e non possono essere soffocate, spente, cancellate. Si
confondono con l’odore dell’autunno che si sovrappone a quello dell’ora tarda
dell’estate: è lo stesso che sentivo in campagna da bambino, quando gioivo senza
rimorsi per il giorno trascorso e fiducioso ammiravo nei tramonti l’arrivo imminente
della sera, senza rimpianti.